Esta operação dos ‘bingtuan’, para além do lado ‘fake’ e da total ausência de controlo de qualidade e do uso de químicos proibidos, é uma gigantesca operação de guerra económica, à escala global, que subverte, submerge e submete à sua estratégia devorista todo o mercado livre do Ocidente.
FAKE: Tomate chinês 'travestido' de italiano... Pomodori Cinesi 'Made in Italy'!
Portugal, que tem no tomate um promissor sector agro-alimentar, comporta-se, porém, como se estivéssemos ainda nos anos 60. E ignora tudo das realidades desta “globalização” e da sua guerra económica... Este culto da ignorância é, obviamente, uma atitude suicidária!
O site italiano Treccani conta, disseca e analisa toda a história de “Pomodori Cinesi Made in Italy”, desta guerra económica da globalização do tomate e suas nefastas consequências alimentares, económicas e sociais.
Tomate chega da China com vermes e moscas... I falsi pomodori italiani che arrivano dalla Cina con vermi e mosche.
Se il pomodoro globalizzato produce povertà ed emigrazione
8 Febbraio 2019 Liberti Stefano | Treccani
Nel corso degli ultimi tre decenni il cibo è diventato progressivamente una merce la cui produzione, trasformazione, commercializzazione e distribuzione sono controllate da pochi grandi attori. Questa evoluzione ha avuto una serie di effetti dirompenti, tanto a livello globale che locale: spesso le materie prime per questi prodotti – definibili come commodity – provengono da paesi in cui il valore delle terre e il costo della manodopera sono bassi, sottraendo terre al mercato locale e quindi minacciando la sovranità alimentare di quei territori. Successivamente, questi stessi paesi vengono inondati di prodotti finiti, realizzati a volte con la stessa materia prima “estratta” dai loro territori – o da territori analoghi.
E’ una dinamica che investe i rapporti Sud-Nord e che definisce alcuni fenomeni sempre più marcati nel mondo di oggi, tra loro strettamente legati: il land grabbing, ovvero l’accaparramento delle terre nel Sud del mondo (in particolare nell’Africa sub-sahariana) da parte di attori del Nord per produrre derrate alimentari destinate all’esportazione; il dumping commerciale dei prodotti finiti, che impedisce lo sviluppo di produzioni locali; l’emigrazione da quei territori di soggetti non più in grado di sostentarsi – in primis, i contadini privati delle terre.
Questo implica una serie di mutamenti con effetti vorticosi, tanto a livello sociale che ambientale: le campagne si trasformano sempre più in grandi distese di monocolture destinate a mercati esteri. I centri urbani si gonfiano a dismisura a causa del massiccio esodo rurale, diventando terreno di scontro tra gruppi che competono su un mercato del lavoro incapace di assorbire tutti.
Tomate chinês 'travestido' de italiano.
La storia del pomodoro concentrato che viaggia dall’Asia all’Europa per poi approdare in Africa rappresenta da questo punto di vista un caso emblematico.
Negli ultimi tre decenni un’enorme quantità di pomodoro concentrato viene prodotto in Cina, nella remota regione dello Xinjiang (al confine tra Mongolia, la Russia e il Kazakhstan). Si tratta di una regione particolare della Repubblica Popolare: abitata dalla minoranza turcofona e musulmana degli uiguri, lo Xinjiang ha conosciuto una massiccia colonizzazione da parte dei cinesi han, che sono padroni delle terre e controllano le principali leve economiche.
Fin dal 1954 il governo centrale ha delegato l’amministrazione di parti intere di questo territorio a una specie di corpo paramilitare autonomo, chiamato bingtuan, costituito da coloni dotati di grandi margini di iniziativa, notevoli quantità di terra e vere e proprie città indipendenti che devono rispondere solo alle istanze centrali di Pechino e non al governo locale.
Proprio i responsabili del bingtuan hanno lanciato la produzione di pomodoro in questa regione fin dagli anni ’90, come cash crop volto all’esportazione. Milioni di ettari sono stati inondati da questa produzione. Ogni estate eserciti di lavoratori migranti provenienti da altre zone della Cina partecipano alla raccolta manuale del frutto (fra loro famiglie intere, con tanto di bambini al seguito). Il pomodoro raccolto viene poi trasformato in una trentina di fabbriche sparse per il territorio in un prodotto ad alta concentrazione, il “triplo concentrato al 36 per cento”.
L’intera produzione (dopo la California, lo Xinjiang è la seconda regione produttrice al mondo di derivati di pomodoro) non è destinata al mercato interno, bensì all’esportazione. I grandi fusti di pomodoro concentrato cominciano quindi un viaggio di decine di migliaia di chilometri: attraversano la Cina intera a bordo di treni merci e arrivano nei porti nella parte orientale della Repubblica Popolare, 3000 chilometri più in là. Qui vengono caricati su navi container e attraversano l’Oceano Pacifico, poi l’Oceano Indiano, poi il canale di Suez e infine entrano nel Mare Mediterraneo.
La loro destinazione finale è il porto di Salerno, o quello di Napoli. Una volta in Campania, i mega-fusti provenienti dalla Cina vengono presi in carico da alcune aziende locali che, mediante l’aggiunta di acqua e sale, trasformano il triplo concentrato di origine cinese in doppio concentrato “prodotto in Italia”.
Come mai questi industriali si riforniscono in Cina piuttosto che in Italia, primo produttore europeo di pomodoro da industria e sede di decine di fabbriche di trasformazione?
Perché il pomodoro concentrato cinese, entrato in regime di esenzione da dazio come materia prima da ritrasformare, ha un costo notevolmente inferiore rispetto a quello tradizionalmente prodotto in Italia.
Al di là dell’esenzione da dazio, i costi di produzione cinesi sono molto bassi per una serie di altre ragioni: il fatto che gran parte delle terre e le fabbriche sono proprietà del bingtuan, le sovvenzioni e le facilitazioni fiscali che il governo centrale cinese assicura alle produzioni di questa regione politicamente sensibile e i protocolli di produzione meno stringenti di quelli europei.
Guerra do Tomate ou quando os chineses vão pelo mundo travestidos de italianos...
Una volta trasformato nelle fabbriche del napoletano, questo doppio concentrato viene riesportato in tutto il mondo sotto la bandiera italiana...
Continuar a ler no 'Treccani': http://www.mondopoli.it/2019/02/08/se-il-pomodoro-globalizzato-produce-poverta-ed-emigrazione/
8 Febbraio 2019 Liberti Stefano | Treccani
Nel corso degli ultimi tre decenni il cibo è diventato progressivamente una merce la cui produzione, trasformazione, commercializzazione e distribuzione sono controllate da pochi grandi attori. Questa evoluzione ha avuto una serie di effetti dirompenti, tanto a livello globale che locale: spesso le materie prime per questi prodotti – definibili come commodity – provengono da paesi in cui il valore delle terre e il costo della manodopera sono bassi, sottraendo terre al mercato locale e quindi minacciando la sovranità alimentare di quei territori. Successivamente, questi stessi paesi vengono inondati di prodotti finiti, realizzati a volte con la stessa materia prima “estratta” dai loro territori – o da territori analoghi.
E’ una dinamica che investe i rapporti Sud-Nord e che definisce alcuni fenomeni sempre più marcati nel mondo di oggi, tra loro strettamente legati: il land grabbing, ovvero l’accaparramento delle terre nel Sud del mondo (in particolare nell’Africa sub-sahariana) da parte di attori del Nord per produrre derrate alimentari destinate all’esportazione; il dumping commerciale dei prodotti finiti, che impedisce lo sviluppo di produzioni locali; l’emigrazione da quei territori di soggetti non più in grado di sostentarsi – in primis, i contadini privati delle terre.
Questo implica una serie di mutamenti con effetti vorticosi, tanto a livello sociale che ambientale: le campagne si trasformano sempre più in grandi distese di monocolture destinate a mercati esteri. I centri urbani si gonfiano a dismisura a causa del massiccio esodo rurale, diventando terreno di scontro tra gruppi che competono su un mercato del lavoro incapace di assorbire tutti.
Tomate chinês 'travestido' de italiano.
La storia del pomodoro concentrato che viaggia dall’Asia all’Europa per poi approdare in Africa rappresenta da questo punto di vista un caso emblematico.
Negli ultimi tre decenni un’enorme quantità di pomodoro concentrato viene prodotto in Cina, nella remota regione dello Xinjiang (al confine tra Mongolia, la Russia e il Kazakhstan). Si tratta di una regione particolare della Repubblica Popolare: abitata dalla minoranza turcofona e musulmana degli uiguri, lo Xinjiang ha conosciuto una massiccia colonizzazione da parte dei cinesi han, che sono padroni delle terre e controllano le principali leve economiche.
Fin dal 1954 il governo centrale ha delegato l’amministrazione di parti intere di questo territorio a una specie di corpo paramilitare autonomo, chiamato bingtuan, costituito da coloni dotati di grandi margini di iniziativa, notevoli quantità di terra e vere e proprie città indipendenti che devono rispondere solo alle istanze centrali di Pechino e non al governo locale.
Proprio i responsabili del bingtuan hanno lanciato la produzione di pomodoro in questa regione fin dagli anni ’90, come cash crop volto all’esportazione. Milioni di ettari sono stati inondati da questa produzione. Ogni estate eserciti di lavoratori migranti provenienti da altre zone della Cina partecipano alla raccolta manuale del frutto (fra loro famiglie intere, con tanto di bambini al seguito). Il pomodoro raccolto viene poi trasformato in una trentina di fabbriche sparse per il territorio in un prodotto ad alta concentrazione, il “triplo concentrato al 36 per cento”.
L’intera produzione (dopo la California, lo Xinjiang è la seconda regione produttrice al mondo di derivati di pomodoro) non è destinata al mercato interno, bensì all’esportazione. I grandi fusti di pomodoro concentrato cominciano quindi un viaggio di decine di migliaia di chilometri: attraversano la Cina intera a bordo di treni merci e arrivano nei porti nella parte orientale della Repubblica Popolare, 3000 chilometri più in là. Qui vengono caricati su navi container e attraversano l’Oceano Pacifico, poi l’Oceano Indiano, poi il canale di Suez e infine entrano nel Mare Mediterraneo.
La loro destinazione finale è il porto di Salerno, o quello di Napoli. Una volta in Campania, i mega-fusti provenienti dalla Cina vengono presi in carico da alcune aziende locali che, mediante l’aggiunta di acqua e sale, trasformano il triplo concentrato di origine cinese in doppio concentrato “prodotto in Italia”.
Come mai questi industriali si riforniscono in Cina piuttosto che in Italia, primo produttore europeo di pomodoro da industria e sede di decine di fabbriche di trasformazione?
Perché il pomodoro concentrato cinese, entrato in regime di esenzione da dazio come materia prima da ritrasformare, ha un costo notevolmente inferiore rispetto a quello tradizionalmente prodotto in Italia.
Al di là dell’esenzione da dazio, i costi di produzione cinesi sono molto bassi per una serie di altre ragioni: il fatto che gran parte delle terre e le fabbriche sono proprietà del bingtuan, le sovvenzioni e le facilitazioni fiscali che il governo centrale cinese assicura alle produzioni di questa regione politicamente sensibile e i protocolli di produzione meno stringenti di quelli europei.
Guerra do Tomate ou quando os chineses vão pelo mundo travestidos de italianos...
Una volta trasformato nelle fabbriche del napoletano, questo doppio concentrato viene riesportato in tutto il mondo sotto la bandiera italiana...
Continuar a ler no 'Treccani': http://www.mondopoli.it/2019/02/08/se-il-pomodoro-globalizzato-produce-poverta-ed-emigrazione/
VÍDEO: UMA REPORTAGEM ARRASADORA SOBRE O TOMATE 'FAKE':
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