“A guerra económica
faz-se em tempo de paz”, explica o nosso amigo Giuseppe Gagliano à revista
italiana Geopolítica. Com vasta obra publicada, Gagliano é presidente do Centro
Studi Strategici Carlo De Cristoforis e um dos grandes especialistas italianos de guerra económica. Muito
próximo das posições e matrizes de análise da École de Guerre Économique, Gagliano
tem sido o grande divulgador, em língua italiana, da obra de Christian
Harbulot. Nesta entrevista, ele começa
por definir a guerra económica (la guerra economica non è una guerra in senso
classico; tale espressione serve a rappresentare in forma estrema i rapporti di
forza non militari. Se il loro obiettivo è identico, ovvero l’accrescimento
della ricchezza e della potenza di un Paese, i metodi utilizzati sono
assolutamente diversi), os seus actores e os seus campos, identifica o papel
central da “inteligência económica”, explica o contributo da École de Guerre Économique
para “comprendere lucidamente la dinamica conflittuale del mondo odierno” e a
sua relação com a geoeconomia. Uma entrevista imperdível.
di Mirko Mussetti - 25 marzo 2018
La redazione di Geopolitica.info ha intervistato Giuseppe Gagliano,
presidente del Centro Studi Strategici Carlo De Cristoforis (Cestudec), autore
di numerose opere incentrate sui principi della guerra economica ed esperto di
geoeconomia.
Cos’è la guerra economica?
Come ho avuto modo di
illustrare nel corso di quasi sei anni attraverso le mie pubblicazioni, la
guerra economica non è una guerra in cui il denaro, nervo di ogni conflitto, è
messo al servizio dello sforzo bellico senza farvi parte direttamente. Christian
Harbulot spiega che la guerra economica non è una guerra in senso classico;
tale espressione serve a rappresentare in forma estrema i rapporti di forza non
militari. Se il loro obiettivo è identico, ovvero l’accrescimento della
ricchezza e della potenza di un Paese, i metodi utilizzati sono assolutamente
diversi. Anche i risultati possono divergere, poiché la guerra conduce
abbastanza spesso a un risultato inverso a quello atteso dal vincitore. La
Francia del 1918 e il Regno Unito del 1945 sono testimonianze esemplari. Può
sembrare paradossale, ma la guerra economica si fa in tempo di pace! Solo
quando essa si rivela inefficace, i cannoni possono sparare. Un’altra
definizione possibile è quella che qualifica la guerra economica come la
competizione fra gli Stati nazionali per il controllo delle risorse rare,
necessarie alla loro economia. Tale visione non contraddice quella di Harbulot;
anzi, in un certo senso le è complementare. La prima pone l’accento sugli
obiettivi a breve termine, la seconda su quelli a lungo termine. Ma sono
necessarie precisazioni ulteriori.
Chi sono i
principali attori in gioco?
La guerra economica è un fatto
tra Stati nazionali. Le imprese giocano un ruolo importante, ma subordinato. Alcune
volte rifiutano di essere coinvolte, altre volte si comportano in modo
controproducente: delocalizzano, trasferiscono competenze tecnologiche
all’estero, vi trasferiscono persino le proprie sedi legali. D’altra parte, la
maggioranza delle imprese conta sullo Stato, affinché le aiuti a proteggersi
dalla concorrenza sleale, dallo spionaggio economico e da qualsiasi manovra
scorretta di competitor commerciali stranieri. Le teorie possono insegnare che
lo Stato non deve immischiarsi nella vita delle imprese, ma le imprese danno
prova di pragmatismo, rivolgendosi allo Stato per averne protezione. Emerge poi
un secondo elemento: la nozione di guerra economica presuppone che gli Stati nazionali
mantengano la propria centralità. Si tratta di un dibattito troppo lungo perché
sia qui riaperto. Agli occhi di alcuni, la globalizzazione abbatte le frontiere
e riduce l’importanza della sfera nazionale. Ma d’altra parte essa costringe
gli Stati a intervenire fortemente, per lottare contro i suoi effetti perversi
– come la crescita dell’ineguaglianza – o per difendere l’economia nazionale
esposta alla competizione internazionale.
Dove si
combatte?
Si può certamente affermare
che le trincee e i fronti siano delineati con minore nettezza che nella guerra
condotta attraverso battaglie campali. È più utile quindi paragonare la guerra
economica alla guerriglia, in cui le operazioni restano discrete, gli attacchi
in massa rari e le armi favorite sono quelle della manipolazione e della
demoralizzazione dell’avversario. A ciascuna delle risorse rare, cui noi
abbiamo accennato, corrisponde un campo di battaglia: materie prime,
tecnologia, capitali, cervelli, mercati sono oggetto di una competizione
accanita.
Qual è il
ruolo dell’intelligence?
Strettamente legato al
concetto di guerra economica troviamo quello di intelligence economica. Con essa si intende quell’insieme
di attività di raccolta e trasformazione dei dati, di sorveglianza della
concorrenza, di protezione delle informazioni strategiche, di capitalizzazione
delle conoscenze al fine di controllare e influenzare l’ambiente economico
globale. È quindi uno strumento di potere a disposizione di uno Stato. Infine,
centrale per comprendere pienamente l’ampiezza e la profondità del concetto di
guerra economica, è di estrema rilevanza il concetto di “guerra cognitiva” in
parte analogo a quello americano di information
dominance. L’espressione usata nel contesto strategico francese è
quella di guerra cognitiva,
definita come la capacità di utilizzare la conoscenza a scopo conflittuale. In
particolare, la Scuola di Guerra Economica francese riconosce nella guerra
cognitiva uno scontro tra diverse capacità di ottenere, produrre e/o ostacolare
determinate conoscenze, secondo rapporti di forza contraddistinti dal binomio
“forte contro debole” o, inversamente, da quello di “debole contro forte”.
Cosa
contraddistingue il paradigma dell’École de Guerre Économique (EGE)?
Un concetto
rilevantevall’interno della riflessione francese legata alla Scuola di guerra
economica (mi permetto di rimandare al mio saggio La Geoeconomia nel pensiero strategico francese
contemporaneo, Edizioni Fuoco, 2014) è certamente quello di potenza che riacquista tutta la sua
centralità. Se lo consideriamo come la capacità di imporre la propria volontà
agli altri o la capacità di non lasciarsi imporre la volontà degli altri,
risulta arduo negarne la centralità per comprendere lucidamente la dinamica conflittuale
del mondo odierno. Si pensi al ruolo che Putin attribuisce alle risorse della
propria nazione come strumento di potenza offensiva. D’altronde nel mondo
attuale – come d’altra parte in quello passato – esistono paesi che hanno una
strategia di crescita di potenza e quelli privi di una strategia di
accrescimento. Ecco perché la riflessione francese – in particolare quella di
Christian Harbulot, Pichot-Duclos, Philippe Baumard, Eric Delbeque, Nicolas
Moinet e Pascal Lorot – pone l’enfasi sul concetto di “patriottismo economico”
che definisce l’ambito di sviluppo di una nazione dinanzi alle opportunità e
alle minacce delle nuove dinamiche di potenza derivate dalla globalizzazione
degli scambi.
La guerra
economica si colloca nel campo della geoeconomia?
Da un punto di vista
squisitamente metodologico, non c’è dubbio che la riflessione sulla guerra
economica si inserisca a pieno titolo nella geoeconomia. D’altra parte lo
stesso Harbulot ha più volte sottolineato la centralità delle riflessioni di
Luttwak e di Esambert. In The Endagered
American Dream del 1993 Luttwak afferma in termini simili a quelli
di Esambert che i capitali investiti dallo Stato sono l’equivalente della
potenza di fuoco, le sovvenzioni allo sviluppo di prodotti corrispondono ai
progressi dell’esercito, la penetrazione dei mercati con l’aiuto statale
sostituisce l’influenza diplomatica o le basi e le guarnigioni militari
dispiegate all’estero.
Più esattamente, la
geoeconomia rappresenta l’analisi delle strategie di ordine economico – in
particolare commerciale – decise dagli stati nell’ambito delle politiche che
mirano a proteggere la loro economia nazionale, ad acquisire il dominio delle
tecnologie chiave o a conquistare alcuni segmenti del mercato mondiale relativi
alla produzione o al commercio di un prodotto, poiché il loro possesso o il
loro controllo conferisce al detentore un elemento di potere e di prestigio
internazionale, concorrendo al rafforzamento del suo potenziale economico. È
chiaro che, alla luce di queste riflessioni, la griglia di lettura elaborata
nel corso di oltre un decennio dalla Scuola di guerra economica (alludo ai
concetti di guerra economica, intelligence economica, guerra cognitiva e
patriottismo economico) contribuisca a rinnovare profondamente la riflessione
geoeconomica e, di riflesso, quella geopolitica.
Sem comentários:
Enviar um comentário