segunda-feira, 23 de abril de 2018

Entrevista: INTELLIGENCE ECONOMICA E GUERRA D’INFORMAZIONE: PARLIAMO CON GIUSEPPE GAGLIANO


Nesta entrevista, o nosso amigo Giuseppe Gagliano analisa a conjuntura estratégica global e a inversão de situação na relação Estado-Mercado, bem como as estratégias e seus instrumentos das potências face às (novas) ameaças. Tudo à luz das matrizes conceptuais da parisiense École de Guerre Économique dirigida por outro amigo, Christian Harbulot.

Notizie Geopolitiche | 18 marzo 2018

Guardando allo scenario internazionale è sempre più evidente una competizione globale non solo, fra le grandi imprese, ma anche fra gli Stati che si trovano sempre più spesso a fronteggiare vecchie e nuove minacce ai propri interessi economico-strategici. Secondo gli esperti, tutte le superpotenze si sono dotate, e continuano progressivamente a farlo, di un apparato di intelligence economica a sostegno delle proprie politiche economiche, tecnologiche e monetarie, ma soprattutto a sostegno dei processi decisionali pubblici e privati che si trovano a svolgere. Il ciclo dei rapporti Stato-Mercato, che aveva visto la parziale supremazia del secondo fino al secolo scorso, si sta progressivamente rovesciando. L’intelligence economica e la guerra d’informazione fanno parte della cultura francese da lungo tempo, in Italia, il professor Giuseppe Gagliano, direttore del Centro Studi Strategici Carlo de Cristoforis, nonché autore del volume “Sfide geoeconomiche – La conquista dello spazio economico nel Mondo contemporaneo” e di “Intelligence economica e guerra dell’informazione”, cerca di adattare l’esperienza francese alla realtà istituzionale e culturale italiana.


– Professor Gagliano, quali sono le minacce ai processi decisionali pubblici e privati oggi?
“La minaccia non è più solo quella a cui eravamo abituati e che poteva localizzarsi dal punto di vista geografico nell’attacco di una grande potenza contro un’altra potenza. Oggi la minaccia è asimmetrica, diversa, cambia in continuazione, viaggia in rete, è immediata e, soprattutto, è rivolta contro l’intero sistema. Non mira a colpire bersagli militari o politici, ma interessi commerciali, industriali, scientifici, tecnologici e finanziari. Questo porta l’intelligence a strutturarsi su compiti nuovi: proteggere non solo l’intero sistema, ma anche gli anelli deboli della filiera produttiva. È infatti principalmente dopo la fine della Guerra Fredda che i rapporti di forza tra potenze si articolano attorno a problematiche economiche: la maggior parte dei governi oggi non cerca più di conquistare terre o di stabilire il proprio dominio su nuove popolazioni, ma tenta di costruire un potenziale tecnologico, industriale e commerciale capace di portare moneta e occupazione sul proprio territorio”.

-Lei sostiene che la Francia, a differenza dell’Italia, possieda una “cultura dell’intelligence economica”. Ci spiega meglio? E soprattutto come mai la Francia ha sviluppato prima rispetto ad altri questo aspetto?
“In primo luogo, per Christian Harbulot, l’intelligence economica è la ricerca e l’interpretazione sistematica dell’informazione accessibile a tutti, con l’obiettivo di conoscere le intenzioni e le capacità degli attori. Essa ingloba tutte le capacità di sorveglianza dell’ambiente concorrenziale (protezione, veglia, influenza) e si distingue dall’intelligence tradizionale per la natura del suo campo di applicazione (informazione aperta), per la natura dei suoi attori (calati in un contesto di cultura collettiva dell’informazione), per le sue specificità culturali (ogni economia nazionale genera un modello specifico di intelligence economica), rappresentando il tutto secondo uno schema di intelligence economica a tre livelli: quello delle imprese, il livello nazionale e quello internazionale. In secondo luogo, è stato certamente merito di Christian Harbulot se in Francia si è sviluppata una riflessione ampia ed articolata sulla intelligence economica. Gli scritti di C. Harbulot sono infatti dei veri e propri saggi sulla natura degli scontri economici scritti con l’obiettivo di convincere i responsabili politici che uno sfruttamento offensivo dell’informazione è un fattore chiave per il successo di un Paese. Attraverso un’analisi comparativa delle culture, Harbulot ha spiegato perché certi popoli si sono mobilitati affrontando gli aspetti conflittuali dell’economia di mercato e altri no, facendo propria la tesi secondo cui il capitale informativo è al tempo stesso un fattore di produzione ma anche un’arma offensiva, oltre che dissuasiva.In terzo luogo se la Francia è stata in grado ,prima dell’Italia,di conseguire questo fondamentale traguardo ciò è dovuto ad un insieme di fattori . Il contributo di Harbulo, unitamente a quello di Philippe Baumard,hanno trovato modo di entrare nel contesto istituzionale francese anche grazie al Generale Pichot-Duclos cofondatore assieme a Harbulot della Scuola di guerra economica di Parigi ,a Jean Levet capo servizio dello sviluppo tecnologico francese nel 1992,ad Henri Marte ex delegato generale per l’armamento che costituì un gruppo di lavoro di esperti di intelligence che si concretizzerà nel celebre Rapporto Marte pubblicato nel 1994 e infine ad Edith Cresson Primo Ministro nel governo di Francois Mitterand”.

– Oltre ai protagonisti della scuola di guerra francese, lei fa riferimento anche ad analisti americani come John Arquilla e David Rundfeldt, i quali parlano di “information dominance”. È corretto dire che le guerre oltre che sul piano tradizionale si svolgono anche, e forse principalmente, su quello mediatico? In che modo?
“Questi studiosi della Rand Corporation, fin dal 1997, hanno teorizzato il concetto di information dominance. Definita come il controllo di tutto quanto è informazione, questa dottrina avrebbe la vocazione di plasmare il mondo attraverso l’armonizzazione delle pratiche e delle norme internazionali sul modello americano, col fine di mettere sotto controllo gli organi decisionali.
Basti pensare, osservano gli studiosi, come all’epoca della invasione del Kuwait l’opinione pubblica americana si era mobilitata a seguito di un processo disinformativo pianificato a livello militare o, più precisamente, a livello di guerra psicologica. I processi di manipolazione dell’informazione permettono di marginalizzare determinati fatti e perciò il dominio dell’informazione è divenuto una priorità per la strategia americana. Pensiamo a come la guerra in Iraq abbia evidenziato l’importanza che la manipolazione dell’informazione ha assunto nelle relazioni internazionali. Le accuse avanzate da G. W. Bush contro Saddam Hussein riguardo l’esistenza di armi di distruzione di massa è divenuta un caso di scuola nella storia della disinformazione”
.

– Come valuta la competitività nazionale del sistema Italia? E come invece l’intelligence economica del nostro Paese?
“Affinché il nostro paese possa essere in grado di conseguire una competitività durevole e non occasionale -come l’Inghilterra e la Germania-è necessario dare piena attuazione a quanto indicato nel 2103 da parte del DIS(Dipartimento per le informazioni e la sicurezza) e cioè la necessità di dare vita ad una struttura di intelligence economica superando una gestione puramente pragmatica come quella in atto da parte dell’Aise e dell’Aisi. La strada da percorrere, come sottolineato dal Generale Carlo Jean, è proprio quella posta in essere dalla Scuola di guerra economica francese”.



Sem comentários:

Enviar um comentário

Portugal: Falta de Estratégia e de Decisão

Lúcio Vicente Estamos a poucos dias de celebrar os 50 anos de Abril. Porém, Portugal é muito menos do que podia e devia ser. Os 123 mil milh...