terça-feira, 21 de maio de 2019

A Guerra Económica como Estratégia Indirecta


Raízes, "boas práticas" e quadro da guerra económica explicados numa síntese da autoria do nosso amigo Giuseppe Gagliano, presidente do italiano CESTUDEC.

Guerra economica come strategia indiretta


di Giuseppe Gagliano

La maggior parte delle azioni di guerra economica fanno parte della strategia indiretta, ossia non sono degli attacchi diretti e né devono essere divulgate. Nel caso di uno scontro tra potenze, si può ricorrere alla guerra economica in un momento di guerra militare (politica di blocco, chiusura delle vie commerciali, distruzione dell’apparato industriale nemico) o in tempo di pace (embargo, sanzioni di qualsivoglia natura, saccheggio tecnologico, razzia commerciale). Nel caso di uno scontro competitivo, si tratta più frequentemente di trappole tese all’avversario per farlo fallire nelle sue strategie di sviluppo, tagliarlo fuori da un mercato, indebolirlo a livello finanziario o commerciale, minacciare la sua immagine.


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Le radici asiatiche dell’arte della guerra economica

Il Giappone è stato il Paese precursore delle nuove forme di dinamica economica. Per fuggire alla colonizzazione occidentale, i giapponesi hanno creato un’infrastruttura industriale guidata, in un primo tempo, dallo Stato e, in seguito, privatizzata. Sono stati adottati tutti i mezzi possibili per trovare delle soluzioni adeguate (copia di macchine; trasferimento di tecniche; spionaggio industriale).


Il Giappone del dopoguerra ha cercato di controbilanciare il costo della sconfitta. Approfittando del margine di manovra concessogli dai vincitori impegnati invece a contrastare la rinascita della sovversione comunista, Tokyo ha gettato le basi di una autentica economia da combattimento sotto la copertura della ricostruzione del Paese. I nuovi conglomerati industriali giapponesi avevano come missione quella di proiettarsi nel mondo per conquistare i mercati.


L’Impero del Sol Levante è così divenuto negli anni Ottanta la seconda economia mondiale, prima che il suo slancio fosse fermato da un’intesa tra gli Stati Uniti e l’Europa. La Corea del Sud ebbe un approccio abbastanza simile dopo la Guerra delle Coree: priva di industria (l’invasore giapponese le aveva costruite nei territori della Corea del Nord) la Corea del Sud ha inventato con autorevolezza un modello di sviluppo per fare fronte alla Corea del Nord, sua nemica.


La sua originalità risiede nell’aver pensato in una ottica di guerra economica: è infatti il primo Paese ad aver ufficializzato questa espressione nel proprio sistema educativo.


In cinquant’anni la Corea del Sud è diventata una delle economie più competitive al mondo e fa parte del ristretto club delle tecnologie difensive. In ogni caso, la dinamica più dimostrativa dell’interiorizzazione del concetto di guerra economica in Asia è rappresentata dalla Cina ormai.


Il filo conduttore che permette di comprendere l’evoluzione dell’Impero Celeste è molto antico e risulta dalla combinazione di due volontà: la ricerca del potere e la lotta contro gli invasori. La prima è stata teorizzata da Sun Tzu nel V sec. a.C.; la seconda da Mao Zedong nella sua lotta rivoluzionaria di trasformazione del Paese.


In origine, la cultura della guerra di Sun Tzu non aveva nulla di economico, quella di Mao neppure. Tuttavia, la prima ha messo in prospettiva le relazioni evolutive tra il forte e il debole e la seconda, nel XX secolo, l’ha arricchita con il concetto di dominato contro dominatore.


Nonostante i loro scritti siano stati tradotti in Occidente, questi non sono stati considerati come i fondamenti della nuova potenza cinese. Gli occidentali hanno annacquato Sun Tzu focalizzandosi sulla questione del potere rappresentato dagli scritti di Machiavelli; Mao Zedong è stato relegato al rango di tiranno sanguinario.


È stato perciò difficile in Occidente determinare i contributi fondamentali di questi autori nella conduzione di conflitti tra forti e deboli e nella possibilità che il dominato si possa trasformare nel dominatore. Alla fine del secolo XX, la Cina ha costruito un capitalismo di Stato che ha saputo trarre profitto dall’esperienza acquisita dal Giappone e dalla Corea del Sud, come dall’osservazione metodica della dissimulazione delle tecniche offensive americane in ambito commerciale.

I comunisti cinesi si sono creati il loro personale modello di guerra economica. Contrariamente ai giapponesi, i quali hanno protetto il proprio capitale industriale dalla penetrazione occidentale, i cinesi hanno attratto le imprese straniere verso zone economiche speciali, al fine di acquisire conoscenze utili al meglio e con ogni mezzo, soprattutto tramite il trasferimento di tecnologie. Con grande abilità, hanno saputo giocare sugli obiettivi a breve termine delle imprese occidentali e giapponesi.


Quando il mondo cinese si è aperto all’economia di mercato, la maggioranza dei dirigenti e dei finanziatori dei Paesi industrializzati hanno visto nel continente cinese un’opportunità commerciale incredibile: quell’impaziente desiderio di conquista – nel breve periodo – di nuovi mercati li ha portati a sottostimare le caratteristiche storiche, culturali e politiche della Cina.


In questa corsa per stabilirsi in Cina, era fuori questione prendere in considerazione delle informazioni scoraggianti. Gli appelli alla prudenza sono stati rari. Pur non essendo un sinologo esperto, non era impossibile richiamare alla memoria alcuni retaggi tipici di quel contesto. Il primo è un doloroso ricordo delle relazioni che il mondo occidentale ha mantenuto negli ultimi due secoli con la Cina. Quest’ultima ha vissuto molto male i tentativi di colonizzazione occidentale condotti contro un Paese sovrano considerato per secoli come il Regno di Mezzo.


A questa controversia altamente simbolica si aggiunse un secolo dopo l’opposizione del regime cinese al mondo capitalista. A questi elementi sono seguite delle conseguenze. Tutt’oggi esiste nell’ambiente dirigenziale cinese uno spirito di vendetta nazionalista ereditato dal passato imperiale nonché la volontà di non doversi sottomettere a un modello di società contrario ai principi del regime comunista.


Rifiutandosi di prendere in considerazione questo aspetto dell’eldorado cinese, gli ambienti finanziari e industriali occidentali hanno spianato la strada alla strategia cinese in materia di guerra economica.


Facilitata nei suoi progetti dall’aspirazione occidentale a commerciare e ivi stabilirsi, la Cina non ha avuto grandi difficoltà a nascondere la propria postura offensiva presentando un’immagine rassicurante della propria politica economica.


Consapevole dei rischi di una guerra economica frontale con gli Stati Uniti, la Cina ha mascherato le sue strategie di conquista commerciale con la fedeltà ai principi della globalizzazione del commercio.

Guerra economica e informazione

La guerra economica contemporanea ha superato lo stadio delle conquiste territoriali e commerciali che hanno cadenzato, in passato, i rapporti di forza. Oggi i vincitori non sono più quelli che dominano soprattutto attraverso la forza militare ed è qui che l’arte della guerra economica subentra come una leva strategica.


Il potere di uno Stato o di una multinazionale si esprime principalmente tramite la capacità di rendere gli altri Paesi dipendenti dalle proprie tecnologie, dalla propria influenza finanziaria e dal proprio influsso nella definizione normativa delle nuove regole dell’economia di mercato.


In altre parole, interpretare gli scontri economici è ancora più difficile rispetto ai tempi degli imperialismi, in cui si agiva a viso scoperto senza tuttavia ammettere alla Storia la violenza della propria conquista. A partire da allora, i colpi sferrati hanno generalmente una natura informativa e la loro identificazione è resa quasi indecifrabile a causa dell’estrema complessità della società dell’informazione.


La società dell’informazione ha cambiato il quadro operativo della guerra economica. Il potenziale offensivo dell’aggressore è stato ampliato ricorrendo in modo sempre più sistematico alle tecnologie dell’informazione.


La possibilità di attacco in tempo reale è aumentata grazie ai nuovi mezzi di comunicazione (Internet; Twitter; continuo aumento dell’utilizzo della telefonia mobile). Lo spazio informativo, come avremo modo di illustrare nel dettaglio nel secondo capitolo, è diventato virale e la sua portata internazionale ha modificato la risonanza delle operazioni informative e di influenza.

Destabilizzazione e guerra della informazione

Raramente i veri casi di guerra economica vengono trattati dai media. Sono ancora più rari quegli episodi che avviano un procedimento giudiziario, manifestando chiaramente il carattere illegale della destabilizzazione di una impresa operata da un rivale.


Nel corso degli ultimi venti anni, un solo caso ha dato vita a un processo durante il quale le prove dell’accusa, presentate a seguito dell’indagine poliziesca, sono state considerate irrefutabili. I magistrati che hanno dimostrato palesemente la natura del reato penale hanno potuto giudicare e condannare i responsabili.

Caso di studio

Si tratta del caso Théa. Durante il corso del 2005, l’ottavo laboratorio oculistico al mondo, mise sul mercato un nuovo collirio chiamato Abak. Il prodotto fu commercializzato dal dicembre 2005. In visita all’Ospedale Quinze-Vingts, il Direttore generale di Théa, Henri Chibret, incontrò un responsabile del laboratorio di biologia il quale espresse al capo dell'ospedale il suo stupore in merito a una relazione sull’Abak.


L’autore, un ricercatore oftalmico di Quinze-Vingts, metteva in dubbio l’affidabilità e la sicurezza dei flaconi della piccola-media impresa. Si trattava di un falso. Parallelamente aquesta scoperta, la direzione di Théa fu informata dall’Agenzia nazionale per la sicurezza dei farmaci e dei prodotti sanitari (Afssaps) che le erano stati inviati dei messaggi in cui si metteva in discussione la sicurezza del procedimento.


Nella stessa settimana, sui blog e sui forum di medici e pazienti, ebbe inizio una vera campagna di destabilizzazione contro l’Abak. Persino una comunicazione falsa firmata dal responsabile del sito del Sindacato Nazionale degli Oculisti Francesi (Snof), Jean-Michel Muratet, fu inviata a 5.000 oculisti del Paese.


Mettendo in commercio questo prodotto, la società Théasi era garantita un considerevole vantaggio sulle sue concorrenti potenziali. Il laboratorio monegasco Europhta aveva sviluppato un procedimento molto simile, ma la messa sul mercato rischiava di cominciare troppo tardi, perciò i suoi dirigenti decisero di ostacolare – con una manovra di destabilizzazione – la commercializzazione dell’Abak.


In un primo tempo, Europhta richiese al Professor Siméon della Facoltà di Farmacia di Montpellier un’analisi sui dei campioni di Abak. In una seconda fase, la direzione dell’Europhta falsificò la relazione: le tabelle coi dati furono eliminate e le conclusioni riscritte con un giudizio molto più sfavorevole.

In una terza fase, il rapporto contraffatto e firmato sotto il falso nome di un ricercatore dell’Ospedale Quinze-Vingtsfu consegnato a una farmacia incaricata della divulgazione via Internet a autorità e canali di informazione.


L’obiettivo era quello di segnare una battuta d’arresto sulla commercializzazione del prodotto Théa, applicando il principio di precauzione.

Prima di esporre denuncia, la società Théa si è rivolata a una agenzia di consulenza sulla guerra economica per cercare di risalire alla fonte dell’operazione di manipolazione.

Grazie ad essa si scoprì che gli aggressori avevano compiuto numerosi errori soprattutto utilizzando, per disinformare gli internauti, degli indirizzi IP facilmente rintracciabili.

Le indagini condotte dall’agenzia confermarono i reati di falsificazione e furto d’identità, permettendo di risalire fino al mandante dell’operazione. Partendo da queste conclusioni, i dirigenti della società decisero di esporre denuncia. Le prove fornite alla polizia accelerarono l’indagine giudiziaria.

Il 9novembre 2006 Éric Belot, direttore generale di Europhta, e due dei suoi collaboratori diretti furono messi sotto accusa per “falsificazione, furto d’identità e calunnia”. Il caso è stato trattato in tribunale e i responsabili di questa campagna calunniosa condannati. Se questa vicenda mostra i limiti dell’espressione della forza, rivela anche il modo in cui si costruisce – a livello cognitivo – un attacco informatico.

Caso di studio

Nell’estate del 2007, una filiale romena del gruppo Danone ha subito un’operazione di destabilizzazione tramite l’uso dell’informazione, finendo sulla prima pagina dei giornali locali. I media sostenevano che molti lotti di yogurt alla frutta prodotti nella filiale romena di Danone potessero contenere della diossina, la quale si ricorda che è una sostanza potenzialmente tossica e probabilmente cancerogena.

Il canale Realitatea TV, il più popolare in Romania, trasmise dibattiti e notizie sull’argomento per tutto il giorno, senza presentare alcuna prova. I partecipanti al dibattito hanno affermato che questi yogurt contenevano l’additivo alimentare E412, noto anche come gomma di guar. Questa gomma è utilizzata come stabilizzatore nella composizione di qualsiasi prodotto lattiero-caseario e, in questo caso, poteva essere entrata in contatto con la diossina. I prodotti in questione erano di produzione recente e la data di scadenza era fissata per l’11 settembre.

I quotidiani locali hanno ripreso la notizia, insistendo sui rischi mortali a cui si esponeva la popolazione in caso di consumo degli yogurt. Danone è stata quindi attaccata perché distribuiva nelle scuole romene uno yogurt a ciascun alunno. La testata Ziua non si è fatta problemi a titolare “Danone uccide i nostri bambini”.

L’edizione del 30 agosto 2007 del giornale Gardianul ha rilanciato la polemica sostenendo in copertina che gli yogurt Danone contenevano la diossina, ma non in quantità mortali. La paura generata da questa campagna giornalistica ha portato Danone a ritirare i lotti sospettati di contaminazione. In contemporanea, la fabbrica di Danone in Romania ha interrotto l’utilizzo di gomma di guar importata dall’India.

La risonanza di questa campagna è stata amplificata dal parallelo che i media romeni hanno fatto con il tentato avvelenamento del Presidente ucraino Viktor Juščenko, il quale è stato intossicato dallo stesso tipo di sostanza nel 2004.

Da qui la presenza in molti articoli su questo tema di foto del volto del Presidente ucraino risalenti al periodo immediatamente successivo all’avvelenamento. I giornalisti romeni si chiedevano se le persone avrebbe subito lo stesso danno fisico di Juščenko a causa del consumo dello yogurt. È giusto precisare che sarebbe stata necessaria una enorme dose di diossina in uno yogurt per provocare uno sfogo evidente e una debilitazione generale paragonabili a quanto aveva subito il Presidente ucraino dopo il tentativo di avvelenamento di cui sono sospettati i servizi segreti russi.

Per contrastare la campagna denigratoria e rassicurare i distributori e i clienti, la filiale romena di Danone ha commissionato delle analisi a un laboratorio specializzato di Budapest. In seguito, ha provveduto a comunicare pubblicamente i risultati, i quali dimostravano che il gruppo francese non vendeva prodotti pericolosi. Danone è uno dei marchi di prodotti lattiero-caseari più popolari della Romania. Questo attacco non è stato privo di conseguenze, dal momento che ha portato a un calo del 20% delle vendite e colpito l’immagine del gruppo nel Paese.

Social learning e mimetizzazione

Durante la Guerra di Corea e la Guerra del Vietnam, il mite successo della propaganda classica incoraggiò gli esperti che lavoravano per il Pentagono a propendere per questa strada. Così prese forma il concetto di social learning.

Alimentato dall’informazione libera, dalla condivisione del sapere dei centri accademici, dei poteri politici ed economici, il social learning sfuggì al radar di rilevamento dei processi di egemonia culturale e, i suoi esperti, hanno usato la cultura generale, la psicologia e la linguistica per conquistare le fonti dell’informazione e controllare gli obiettivi – e la relativa evoluzione – nelle interfacce chiave dei sistemi, e nelle operazioni civili e militari.

Per non andare direttamente contro i sistemi difensivi dei Paesi bersaglio, il loro approccio è necessariamente indiretto: essi considerano infatti i comportamenti e i gusti della popolazione, nonché i principi umanitari trasmessi dai canali mediatici della comunità planetaria. Ad esempio, un Paese che ha studiato nel dettaglio i principi fondanti di questa organizzazione dalla vocazione globale può essere tentato dall’idea di infiltrarsi in un’operazione umanitaria per ricavarne dei benefici economici in un futuro prossimo ma anche lontano. Due sono i metodi di infiltrazione usati solitamente nel sud est asiatico:

- nominare a capo dell’emittente radio creata dall’organizzazione internazionale un agente sotto copertura la cui missione sarà quella di influenzare la politica editoriale della radio locale in determinati momenti.

- Collocare nei posti giusti dei consulenti tecnici legati ad associazioni umanitarie, i quali fungeranno da ripetitori o da guide sulle buone pratiche commerciali.

Mascherare i dispositivi offensivi di intelligence aperta è uno dei punti fondamentali degli scontri economici attuali. A monte, si trovano dei gruppi di decisori privati e pubblici che combinano l’approccio multidisciplinare. La loro relazione si basa sul rapido scambio di informazioni – anche di intelligence – con lo scopo di trasformarle in elementi operativi fruibili dagli attori a valle, cioè dagli uomini che lavorano nel campo (banche, società di consulenza, uffici direzionali, alti funzionari).

Il camuffamento non si limita a nascondere le reti informative, ma anche ad aggirare gli ostacoli per penetrare i mercati stranieri. In questa ottica, il social leaming è stato un pretesto per giustificare l’emergere di organizzazioni virtuali di intelligence economica senza una sede, che costituiscono degli snodi tra istituzioni pubbliche e private, civili e militari, che mirano ai mercati emergenti attraverso operazioni congiunte, immateriali e fisiche.

L’umanesimo è diventato quindi un buon sistema per dissimulare i veri obiettivi (mercati emergenti), assumere posizioni di controllo ai livelli intermedi dei processi decisionali e investire continuamente in modo aggressivo nelle risorse umane.

Questa capacità di nascondere il vero significato della manovra è tanto più sottile quanto più difficile è dimostrarne l’esistenza. Qualsiasi indagine su questa materia di studio comporta il sacrificio di molto tempo e di molti mezzi senza alcuna garanzia di successo a causa dell’assenza di prove.

È possibile seguire il decorso di un’operazione di social learning, ma è difficilissimo reperire delle prove ammissibili circa la sua esistenza. In generale, tutte le argomentazioni deduttive sono state tacciate di complottismo.

La resilienza e la guerra economica

Al giorno d’oggi, le strategie di social learning hanno toccato un livello elevatissimo di efficienza nel nascondere l’effetto finale desiderato, nel "riciclaggio" dei sistemi di influenza e nell’integrazione degli obiettivi nei canali di circolazione delle informazioni, facendo credere che si stia liberamente prendendo parte in un’attività di cooperazione quando in realtà si sta entrando in un rapporto di dipendenza, partecipando in modo inconsapevole perfino a forme di acquisizione del sapere.

Nel corso del XX secolo è comparso il temine “resilienza”. Originariamente utilizzato in fisica per descrivere l’energia assorbita da un corpo in caso di deformazione, in economia, la resilienza è la capacità di superare una crisi e, se possibile, perfino di anticiparla.

L’evoluzione delle problematiche umane fa nuovamente emergere su scala mondiale diversi rischi: crisi climatiche; crisi migratorie; crisi legate all’esaurimento delle risorse; crisi sociali e identitarie. Questo cambiamento di contesto conferisce al concetto di resilienza un ruolo importante nelle riflessioni scaturite dall’intenzione di migliorare le condizioni di vita dell’individuo e della collettività negli ambienti colpiti da questa varietà di fenomeni.

La conoscenza della resilienza è assimilata a una pratica di natura puramente umanitaria ma, in realtà, i principali interessi economici sono interessati da quanto la ricerca è capace di espandersi rispetto a delle soluzioni scientifiche, tecnologiche e organizzative.

Gli Stati e le aziende hanno capito l’importanza di questo nuovo terreno competitivo: i più aggressivi sono passati all’azione, ricorrendo al social learning per nascondere le loro strategie di conquista dei mercati emergenti.

In un’operazione di social learning applicata a questo ambito, la sfida è doppia:

- creare una dipendenza informativa degli attori stranieri per mezzo delle reti informatiche concepite per la comunicazione;

- acquisire informazioni utili tramite gli enti che hanno accettato di collaborare con il sistema che sta all’originedell’operazione.

Bibliografia

Christian Harbulot, Le manuel de l'intelligence économique, comprendre la guerre économique, PUF, 2015 (coordinateur de l'ouvrage)

Christian Harbulot,Techniques offensives et guerre économique, Editions La Bourdonnaye, 2014

Gagliano Giuseppe, L'école française de la guerre économique,Va Press, 2018.


https://www.mondionline.org/guerra-economica-giuseppe-gagliano?fbclid=IwAR2SCiZI5XGNwdLFPSM-16K4FVXfCFB6p_-EsgvbXkomKUbS-5bLCqsd53g

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